Foto di Pierluigi Giorgi | POMPEI INTRA-EXTRA | Testo di Christian Caliandro

La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta. In ogni caso molti anelli non tengono. (…) La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C’è chi sopravvive. EUGENIO MONTALE, LA STORIA (IN SATURA, 1971) 

In una scena fondamentale di Viaggio in Italia (Roberto Rossellini 1953), verso la fine del film, i due protagonisti Alex e Catherine visitano Pompei, dove le guide danno luogo a una singolare “dimostrazione”: riempiono di gesso determinati buchi nel suolo, in modo che una volta solidificata la materia renda visibili le figure ricostruite delle vittime sorprese dall’eruzione duemila anni fa. Esse emergono man mano – prima una gamba, poi un braccio, altre due gambe, e infine la testa – come i fantasmi concreti, solidi di una coppia, che sembra rispecchiarsi in maniera inquietante nella coppia viva di esseri umani che guarda attonita. Per Catherine, la vista risulta addirittura insostenibile. In tutto il film, il patrimonio artistico dell’Italia agisce sui due personaggi e sulla crisi del loro rapporto; come afferma Martin Scorsese nel suo magnifico documentario dedicato al nostro cinema, “la presenza che li sta distruggendo (…) è l’Italia, e il suo antico passato: il passato è onnipresente; non vive nei libri ma è parte della vita” (My Voyage to Italy, 1999). 

L’Italia dunque – e Pompei – come percezioni scomode, addirittura dolorose; l’Italia e Pompei come autentici traumi percettivi, causati da una presenza costante del passato e della memoria. 

Da questo orizzonte e da questa diversità muove Pierluigi Giorgi nel suo viaggio fotografico.

Pierluigi Giorgi guarda a Pompei come a un ecosistema, in cui la dimensione del patrimonio incrocia quella del paesaggio urbano e dell’antropologia. Questa operazione, questa indagine narrativa condotta per immagini, gli permette di fuoriuscire e di affrancarsi immediatamente dalla retorica dello sguardo turistico, dal morbo percettivo della “turistificazione”, il meccanismo perfetto della derealizzazione (vale a dire della irriconoscibilità definitiva, irreversibile). 

Queste fotografie ci offrono dunque l’opportunità di osservare la vita così com’è, isolandone gli aspetti ma preservandone sconnessioni fratture scarti – tra la Pompei antica e la nuova Pompei, tra il passato classico e il presente – e abitando proprio queste discrepanze. 

Così, da una parte troviamo la grazia della Pompei cristallizzata e scoperta, animate dal lavoro culturale colto in diretta, nel suo farsi e con i suoi strumenti: in una fotografia, bianchi scheletri calcificati di cavalli romani, ormai incorporate nell’edificio, presiedono alle complesse rilevazioni. Dall’altra, l’architettura “brutalista” e vernacolare di oggi. Lamiere, piani inclinati, ferro, vetro, plexiglas, cemento armato e superfici ruvide, calce. Muri bituminosi, altri coperti di licheni e umidità. Lemuri di edifici; casupole. Tubi verdi sporgenti e fili che compongono un disegno astratto sulla parete, e dall’esterno penetrano all’interno. Insegne stampate su pvc (CONSIL ABBIGLIAMENTO, HAPPY SHOPPING), e insegne più antiche dipinte a mano, provenienti da altre epoche in cui la nostalgia si articolava in altro modo (RICORDI POMPEIANI CAMMEI CORALLI). Statue religiose: Gesù; la Madonna; un raro e sgargiante Giovanni Paolo II immerso in una rovina contemporanea completa di vegetazione rigogliosa, stella natalizia e marina dipinta con Vesuvio. Scritte luminose (Attrazioni Sala Giochi), con un fungo gigante accanto al PARKING PER GLI SCAVI (24 ore). 

Livelli diversi incastrati l’uno nell’altro, stratificati e assemblati. Questa architettura urbana, questo faticoso non-finito meridionale, è in grado di unire plasticamente arcaico e futuristico: la scomparsa pressoché totale della “grazia”, forse, e la concrezione di un gusto nuovo e alieno. 

Assistiamo dunque a un confronto della vita congelata e di quella in corso, con tutte le sue zone d’ombra, con tutti i buchi, gli inciampi, gli intoppi. Lì il passato emerso conserva e dispiega il suo equilibrio; qui il presente sembra sommergersi, sprofondare. Il “rumore bianco” di queste immagini – da una parte i colori e i materiali degli strumenti da lavoro, dei nastri catarifrangenti, degli elmetti (e delle sedie in plastica, dei calendari e dei contenitori che spuntano ogni tanto come reperti incongrui); dall’altra il silenzio di un contemporaneo che sembra prevalentemente disabitato – è il quotidiano. 

Exit: memoria. Questo lavoro è completato da una sezione che comprende i ritratti dei giovani archeologi dell’Università di Bologna impegnati nella campagna di scavi: si tratta di pellicole graffiate, erose e di file corrosi, corrotti dall’azione profondamente abrasiva della memoria – così come è accaduto, in fondo, anche ai frammenti dell’antico e del classico giunti fino a noi. Sono esseri umani, con le loro storie e con le loro vicende personali; ancora una volta – come nella scena di Viaggio in Italia – esseri umani in divenire.